Un anno fa, nella notte tra il 28 e il 29 maggio, è stata uccisa brutalmente Sara Di Pietrantonio. Il suo femminicidio ha segnato l’inizio del percorso di «Non Una Di Meno», un movimento collettivo, ampio e concreto che prende parola pubblicamente e si attiva a ogni livello per contrastare la violenza sulle donne.
L’assassino di Sara è stato condannato all’ergastolo, molte altre donne sono morte e hanno subito violenze di ogni tipo in quest’anno per mano di uomini (mariti, fidanzati, partner ed ex partner, clienti, pubblici ufficiali…), nel clamore o nel silenzio.
Alcune, come Sara, non sono più qui e non potranno più scegliere cosa fare della loro vita, noi dobbiamo continuare a lottare, anche per loro, per essere tutte vive e libere.
Non una di meno!
Il Tavolo Percorsi di fuoriuscita dalla violenza ha deciso di incontrarsi a Napoli il 27 e 28 maggio per continuare a confrontarsi a livello nazionale avendo lasciato in sospeso alcuni punti importanti da condividere e sentendo l’urgenza dei tempi per un Piano femminista scritto dal basso ma capace anche di incidere concretamente sulle politiche istituzionali che dovrebbero avere il compito di contrastare la violenza sulle donne nelle sue varie forme.
I parte
metodologie dell’accoglienza femminista, i percorsi di fuoriuscita dalla violenza e autonomia economica
Un primo punto di riflessione ha riguardato la presenza di uno scollamento tra il piano femminista e il manifesto politico, ovvero tra la parte che più specificamente si occupa di violenza maschile contro le donne (i centri antiviolenza, associazioni, sportelli ecc) e quella che si è focalizzata maggiormente sulla dimensione politica. Obiettivo del tavolo sarà tenerne conto, curare meglio la comunicazione tra le diverse anime ed esperienze e provare a superare le frammentazioni per permettere al movimento di procedere in sinergia e in sintonia.
Per un ulteriore avanzamento rispetto alle tematiche non ancora discusse nelle assemblee precedenti il confronto si è soffermato sulle difficoltà riscontrate dalle donne nei percorsi di uscita dalla violenza e di autonomia partendo dalle buone prassi e dalle esperienze maturate nelle realtà che registrano i tassi più alti di disoccupazione.
Sono stati esplorati strumenti, metodologie e pratiche relative all’orientamento, alla formazione, all’inserimento lavorativo, all’accompagnamento all’autonomia economica e alloggiativa.
È stato inoltre riservato spazio alla metodologia del lavoro con i/le minori vittime di violenza assistita e diretta, accolti/e nei centri e nelle case, la cui protezione è affrontata in maniera congiunta a quella delle madri, evidenziando i tratti caratteristici della nostra competenza e differenziandoli da tutto il mondo dei servizi che ha un approccio neutro e tiene distinto l’intervento con le madri da quello con i/le figli/e.
Preziose le intersezioni con i contributi delle riflessioni maturate dagli altri tavoli, in particolare andranno tenute presenti quelle del Tavolo lavoro e welfare in merito al tema delle Molestie sul luogo di lavoro, alle possibili forme di sostegno al reddito per le donne che subiscono violenza promosse non come modalità di sostentamento per categorie deboli ma come supporto per l’autodeterminazione, alla flessibilità oraria e all’aspettativa per le lavoratrici dipendenti. Anche i temi posti all’attenzione del Tavolo
Legislativo risultano fondamentali per poter avviare proposte fattibili da inserire nel Piano tra esse la promozione di strumenti per le donne che si trovano in difficoltà nei vari procedimenti civili, in situazione di affidamento condiviso e gestione dei figli. La de-burocratizzazione del Congedo trimestrale INPS, il trasferimento in altra sede lavorativa; il diritto alla sospensione della tassazione per le professioniste autonome. Una proposta emersa è relativa al modello spagnolo che potrebbe essere una buona prassi da emulare in Italia al netto della denuncia obbligatoria per l’accesso a tutti i servizi.
L’intersezione col Tavolo Femminismi e migrazioni, che ha molto ragionato sulla consapevolezza delle differenze di posizionamento che attraversano ognuna di noi secondo le categorie di genere, razza, classe, orientamento sessuale, identità di genere e abilità, è di fondamentale importanza per fare luce sulle multiple oppressioni che vivono le donne migranti, e sulle conseguenti strategie da elaborare nei percorsi di fuoriuscita dalla violenza.
Per agevolare la discussione il tavolo si è diviso in tre gruppi che si sono occupati distintamente del tema dell’inserimento lavorativo, della casa e del lavoro con i minori.
Report del gruppo lavoro
A partire dall’auto-narrazione delle esperienze sono stati individuati elementi che ricostruissero il quadro in cui agiscono i centri antiviolenza per l’ambito del lavoro e della formazione, e che potessero essere utilizzati per avviare analisi ulteriori e per formulare proposte.
La questione del lavoro e della formazione è fondamentale per i percorsi di liberazione e autonomia delle donne che hanno subito violenza, in quanto connessa alla rottura dell’isolamento, alla riacquisizione di stima in sé stesse, alla capacità di riconoscere le proprie competenze e abilità, alla possibilità di garantirsi una reale indipendenza anche da un punto di vista economico. Deve essere pertanto affrontata tenendo presente il complesso delle possibilità: inoccupazione, disoccupazione, lavoro dipendente, autonomo, cooperativo. Devono essere dedicati momenti specifici al tema del sessismo diffuso e delle violenze sul posto di lavoro
All’interno dei singoli percorsi di fuoriuscita nei centri antiviolenza, la fase dell’orientamento al lavoro si presenta come distinta e specifica, e in un momento molto avanzato del percorso complessivo. Mediamente viene indicato il tempo di un anno come minimo per le situazioni più complesse. La valutazione delle possibilità lavorative dipende dal bilancio delle competenze e dai desideri della donna.
La maggior parte delle realtà presenti, alcune delle quali organizzate in cooperative legate ai centri, usufruisce di fondi da aziende e fondazioni private per sostenere i propri progetti. Non esistono ad oggi stanziamenti e interventi specifici da parte del Dipartimento Pari Opportunità, ma solo la possibilità di prevedere tra le azioni connesse al lavoro dei centri anche il sostegno all’inserimento lavorativo. I centri per l’impiego non costituiscono affatto una risorsa e resta la necessità di sviluppare un’analisi sulle reti. La formazione all’auto-impresa può essere promossa anche da privati mentre l’attivazione di tirocini formativi e borse di lavoro dovrebbero mirare al superamento di stereotipi sessisti che orientano l’occupazione delle donne su un arco molto ristretto e specificatamente «femminile» di opzioni.
Per le donne migranti deve essere semplificato il meccanismo di riconoscimento dei titoli conseguiti all’estero.
Diverse le buone prassi evidenziate su iniziative di sensibilizzazione sulla violenza o di supporto per le donne spesso connesse a sinergie con aziende e attività commerciali, restano da approfondire in momenti specifici, prima di avanzare proposte, alcune misure governative: il congedo per motivi di violenza inserito nel jobs act e il reddito d’inserimento.
Report del gruppo casa
Premesse: dato il progressivo peggioramento delle condizioni di vita a cui stiamo assistendo e la continua erosione di welfare, ci sembra importante evidenziare come l’attuale periodo di 6 mesi di permanenza dentro ai CAV sia oggi insufficiente e dovrebbe quindi non solo essere prolungato a 12 mesi ma anche avere una natura più flessibile in grado di tener conto delle singolarità di ogni donna e del suo percorso individualizzato.
È emersa con forza la necessità di richiedere al DPO la verifica delle spese pregresse e la filiera economica che questi finanziamenti hanno seguito negli scorsi anni. Al fine di rendere applicabili ed efficaci i progetti, si richiede che la programmazione degli enti locali tenga conto della programmazione triennale. Riportiamo sinteticamente le principali proposte riguardo la casa emerse dalla discussione:
- Sistematizzare e ampliare l’esperienza della Delibera 163 nel Lazio che prevede il contributo quadriennale per l’affitto pensato per percorsi d’autonomia di singol* e nuclei familiari in seguito a procedure di sfratto da modificare per destinarlo anche alle donne che sono uscite da situazioni di violenza (come avviene in alcuni municipi romani);
- Consapevoli che tra le principali difficoltà che le donne che fuoriescono dai centri oggi si trovano a vivere è l’impossibilità di stipulare un contratto di affitto a causa dell’assenza di busta paga e garanzie sufficienti, si è pensato di proporre l’istituzione di un fondo di garanzia che permetta una stipula del contratto facilitato per le donne (Cav/Associazioni come garanti). In tal senso sarebbe utile anche promuovere una campagna di sensibilizzazione per i piccoli privati che potrebbero usufruire di incentivi a seguito della messa a disposizione delle proprietà;
- Graduatorie case popolari: acquisizione dei massimi punteggi alle donne che fuoriescono da situazioni di violenza, in seguito alla permanenza in CR, Case famiglia, case di semi autonomia o in seguito alla presa in carico presso CAV.
- Messa a disposizione del 10% del patrimonio pubblico per l’implementazione di case di semi-autonomia gestite da CAV o Associazioni di Donne, di case con affitti calmierati per donne che escono da situazioni di violenza da sole o in cohousing per una durata di 4 anni;
- Messa a disposizione di una percentuale dei beni confiscati commerciali per attività di imprenditoria femminile ( percorsi di autonomia economica).
Report del gruppo minori
Il gruppo minori si è soffermato a ragionare sulla attuale funzionamento dei tribunali civili e minorili che utilizzano consulenze tecniche che vengono svolte da soggetti senza alcuna competenza in violenza di genere e della inadeguatezza dei servizi territoriali ad accogliere e comprendere situazioni di violenza.
Si sono in seguito analizzate le difficoltà che le donne oggetto di violenza con figli minori, vittime di violenza assistita, incontrano nella gestione degli affidamenti condivisi molto spesso ed illegittimamente disposti anche in situazioni di violenza non solo sotto l’aspetto dell’esercizio del diritto di visita paterno ma anche sotto altri aspetti che impongono il consenso paterno (nulla osta scolastici, documenti validi per l’espatrio, sostegno psicologico) e che determinano l’utilizzo strumentale da parte del genitore maltrattante dei figli minori che diventano arma di ricatto e strumento di rivalsa nei confronti della madre. I centri antiviolenza sono anche luoghi dei bambini e non è possibile che molte delle attività siano ostacolate dalla richiesta del consenso.
Il problema è la non applicazione delle leggi spesso legata alla delega dei magistrati ai consulenti tecnici, che alla fine si genera una giurisprudenza patriarcale che lavora in un’ottica di controllo dei corpi e delle vite delle donne. Al contrario bisogna sostenere che i percorsi giudiziari sono corretti quando tengono insieme i percorsi delle donne-madri con quelli dei propri figli.
La violenza nella forma sia diretta che assistita compromette il rapporto genitoriale padri/figli e ha evidenti ripercussioni sulla relazione genitoriale. Un padre che agisce violenza alla donna alla presenza dei figli non è un buon padre. Si rende quindi necessario che l’autorità Giudiziaria e i servizi territoriali socio-assistenziali centrino sulla sola figura paterna la valutazione delle capacità genitoriali evitando l’equiparazione dell’uomo maltrattante alla donna maltrattata. L’esperienza all’interno dei CAV ci ha insegnato che la violenza contro le donne e la violenza assistita dai loro figli non sono due condizioni distinte, e, di conseguenza l’intervento deve affrontare il problema in modo integrato. Si chiede alla donna di essere una “brava madre” al di fuori della violenza e, di contro, si considera il padre adeguato anche se violento, in aperta violazione della Convenzione di Instanbul ed in particolare del titolo V art. 31. Pensare che la violenza e la funzione genitoriale siano distinte comporta sempre un ulteriore danno sia per la donna che per i minori. Ecco perché la convenzione citata impone che “nel determinare i diritti dii custodia e di visita dei figli siano presi in considerazione gli episodi di violenza” non compromettendo i diritti e la sicurezza della vittima e de suoi bambini.
Non è possibile attuare alcun sostegno se non si interrompono gli episodi di violenza, che si amplificano spesso dopo l’interruzione della convivenza familiare e che vedono i figli strumentalmente utilizzati dai padri contro le donne, mettendo in protezione le donne ed i loro figli.
Le donne che hanno subito violenza vanno sostenute attivando risorse tese alla rielaborazione degli eventi subiti ed all’empowerment evitando di considerarle soggetti deboli da curare e da sottoporre a trattamenti che sono spesso fonti di ulteriori traumatizzazioni, rimittimizzazioni secondarie con conseguenti stigmatizzazioni e colpevolizzazioni. In piena sintonia con i lavori del tavolo giuridico a cui si fa riferimento, riteniamo che mai, nei casi di violenza, vada previsto l’affido condiviso.
Riteniamo inoltre gli strumenti ad oggi utilizzati, incontri protetti, percorsi di valutazione genitoriali, imposizioni dei percorsi di riavvicinamento dei bambini con i padri violenti, fortemente disfunzionali perché non solo spesso posti in essere da operatori che adottano un approccio neutro, senza alcuna formazione sulla violenza ma anche perché spesso costituiscono una modalità di riproporre la mediazione familiare e pratiche ri-conciliative vietate ed illegali ai sensi dell’art. 48 della Convenzione di Instanbul.
II parte
Il Piano Femminista Antiviolenza: indice parziale e proposta metodologica/organizzativa per la scrittura
Il 28 il lavoro del tavolo si è concentrato sull’indice del piano con l’obiettivo di costruire una proposta di strutturazione per poterla avere chiara e poi condividerla con gli altri tavoli.
La discussione si è articolata intorno alla distinzione tra i due livelli: quello politico e quello programmatico – o di azione – connesso direttamente alla parte relativa alle violenze nelle sue articolazioni. Si è deciso di denominare in maniera più chiara rispetto all’incontro precedente sia il piano stesso, condividendo la scelta di chiamarlo PFA – Piano femminista antiviolenza, sia le due parti del piano da rendere comunque sinergiche e interconnesse proponendo di definirle “Piano di inquadramento politico” e “Piano programmatico”.
La prima parte, la premessa politica è il femminismo, lo sguardo femminista sul mondo con i suoi presupposti: la libertà delle donne e la relazione tra donne, l’intersezionalità. La seconda parte, il piano programmatico, dovrebbe muoversi su un livello di concretezza prevalentemente metodologica e non misurarsi su quello governativo.
Il piano, unico e organico, dovrebbe essere redatto con un taglio lineare, semplice, attento al linguaggio come alla diffusione, riportare un’analisi di contesto e i motivi per cui è nato il movimento Non una di meno ancorandolo saldamente al contrasto del femminicidio. Dovrebbe inoltre esplicitare gli obiettivi che si pone, il contrasto alla violenza e la lotta alla struttura sociale e simbolica patriarcale, così come prevedere le azioni e gli strumenti per promuoverle.
Quindi un piano femminista antiviolenza “antagonista” una sorta di manifesto del movimento e insieme uno strumento di strategia politica d’azione nel quale ribadire il protagonismo delle donne, la regia dei centri antiviolenza nelle reti inter-istituzionali territoriali e il punto centrale: che i percorsi di autodeterminazione delle donne li decidono le donne che vivono o hanno attraversato la violenza con il supporto delle donne dei centri antiviolenza e degli spazi femministi.
Di seguito la proposta parziale di indice:
- Inquadramento politico:
Introduzione: il movimento “Non una di meno”; cos’è un piano femminista; come abbiamo costruito il piano.
Premessa: Analisi di contesto (macro), rapporto con le istituzioni. Sguardo femminista sulla violenza e principi femministi, intersezionalità, centralità delle donne, libertà di scelta, ribaltamento del patriarcato. Violenza intrafamiliare e di genere (compresa la tratta). Trasversalità dei tavoli (principi generali elaborati dai tavoli).
Si specifica che debba comprendere Tutti i principi elaborati all’interno dei singoli tavoli al fine di includere il più possibile la ricchezza e complessità dei loro contenuti, elemento fondante per combattere la natura strutturale della violenza maschile.
- PIANO programmatico per combattere la violenza:
Introduzione: analisi di contesto (specifico). Criticità e disfunzionalità del sistema antiviolenza. Metodologia (ruolo CAV, ruolo operatrice). Reti: Regia-centralità alle organizzazioni di donne. Libera scelta della donna in ogni fase del percorso di fuoriuscita dalla violenza, vantaggio delle donne.
– La Prevenzione (come strumento di cambiamento): educazione e formazione, media e comunicazione.
– I Percorsi di fuoriuscita: fasi del percorso, rivendicazioni su autonomia abitativa, economica ( reddito, formazione e lavoro) e minori.
– Gli aspetti giuridici e legislativi
– I Costi della violenza e le risorse finanziarie.
Pensiamo sia opportuno che nel Piano programmatico, nonostante sia necessario mantenere il focus sulla violenza maschile contro le donne e sugli strumenti e soluzioni specifiche per l’emersione della violenza e la fuoriuscita delle donne dalla situazione di violenza, verranno inseriti anche i diversi strumenti concreti e pratici, elaborati dagli otto tavoli, con un costante lavoro di intersezione delle elaborazioni realizzate per far emergere chiaro e forte il senso del lavoro collettivo di questi ultimi 7 mesi.
A fine giornata il Tavolo ha discusso alcune proposte operative relative alle modalità di stesura e organizzazione interna che restano da approfondire e condividere. Bisognerebbe individuare tre coordinatrici nazionali e due referenti per ogni tavolo.
Per la stesura del piano indicare delle persone differenti dalle referenti: per la parte programmatica e solo al fine di rendere agevoli le comunicazioni ed avere dei referenti per la scrittura del documento proponiamo alcune referenti del tavolo percorsi di fuoriuscita che dovrebbe costituire a nostro avviso il focus principale del piano programmatico e 2 o 3 referenti per gli altri sette tavoli. Ovviamente le referenti avranno compiti meramente esecutivi: finalizzati a rendere più funzionali le comunicazioni dei e tra i tavoli, portando all’interno del gruppo-scrittura il lavoro ed i contributi che le assemblee territoriali stanno portando avanti ed i contenuti emersi dai tavoli nazionali, con compiti redazionali che metta a sistema i diversi contenuti del piano.
Restano da approfondire alcune questioni dirimenti possibilmente condividendo tra diversi tavoli quali i modelli operativi nei percorsi sanitari, alternativi al codice rosa, il tema della tratta, il tema dei diritti nell’ambito lavorativo.
In chiusura si conclude decidendo le date:
- Entro giugno sarebbe opportuno fare un incontro, anche via skype, a cui parteciperanno le due referenti indicate da ogni tavolo.
- Organizzare un incontro nazionale del tavolo a settembre